(A GIULIO CORSARI)
L’ho vista la chiesuola; essa e’ perduta
In mezzo ai campi come un eremita;
Ed e’ deserta, solitaria e muta,
Qual chi studia il problema della vita.
O teschi, o tibie, o stinchi ammonticchiati,
Macerie umane, chi vi mosse in terra?
Insiem congiunti come v’han chiamati?
Becero, Truffaldino o Fortinguerra?
Sotto una rozza lapide sconnessa
Dorme il vecchio curato del villaggio;
Egli almen cogli offizii e colla messa
Il nome a questa eta’ lascio’ in retaggio!
Ma un teschio, posto la’, sul cornicione
Con cent’altri, ridendo, par che esclami:
“Bel profitto davver, se le persone
“Deggion dir _ti chiamavi_ e non _ti chiami_!”
Ed e’ un teschio giallognolo e pulito
Siccome d’un nodar la pergamena,
Ed ha la nuca dal profilo ardito
E guarda in giu’ con un’occhiaja appena.
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E’ il mattino.–Sull’erba verde e folta
Scintillano le gocce di rugiada,
E il ritornello da lontan s’ascolta
D’un villano che passa sulla strada.
La Natura e il Lavoro!–E poi?–La testa
Poggiar sul cornicione d’una chiesa,
Coi passeri che intorno le fan festa
O col becco alle vuote orbite offesa!
E contemplare i proprii stinchi ignudi
In una nicchia, messi insieme a mille,
O (peggio ancora) un poeta che sudi,
E cerchi un verso alzando le pupille…
Ei colla vita di cento persone,
(Che visser forse ognuna settant’anni)
Fara’ dieci quartine o una canzone.
Che l’udito ai viventi o strazii, o inganni!…
Poveri morti, perdonate!–Tutti
Amor vi concepi’; tutti una madre
E un padre aveste; e amaste; e foste tutti
Sposo, figlio, fratello, amico o padre…
Per una strofa che dalla matita
Mi cade, voi viveste, ahime’, tant’anni!
Un sol mio verso e’ costato una vita!…
E una mia rima chissa’ quanti affanni?
(Ferdinando Fontana)
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