I.
Chi conosce Mercallo?
E’ un povero paese
Tra i monti che separano–il lago di Varese
Dal Verbano.
Fa in tutto–un seicento abitanti,
Quando i bachi e le vigne–dan raccolti abbondanti,
I villani, alla festa,–cantano all’osteria
E giuocando alla mora–bevon la malvasia.
Quando il raccolto e’ scarso–e il pallido digiuno
Entra nelle capanne,–e siede, come un bruno
Fantasima, dappresso–ai freddi focolari,
La taverna e’ deserta;–la nenia dei rosari
Esce fuor dalle porte–dei meschini abituri
(Dove spiccan le teste–sovra dei fondi oscuri),
Come fuor da una chiesa–esce l’odor d’incenso.
Oh! La chiesa! La chiesa!–Ecco il tripudio immenso
Dei villani!
I beoni–frequentano la chiesa
Anch’essi!.. Almeno la’–possono alla distesa
Metter fuori la voce,–quando l’economia
Nei di’ grami li tiene–lungi dall’osteria!
* * * * *
Or nel mille ottocento–e cinquanta, a Mercallo,
Nell’unica taverna–all’insegna del _Gallo_,
Abitava un vecchietto–con una figlia, bionda,
Bella, diciassett’anni,–ben tornita e gioconda.
Gli affari prosperavano–che da parecchie annate,
I villani contavano–men meschine derrate;
E percio’ nelle botti–non dormigliava il vino.
La fanciulla avea nome–Lisa; il padre Martino.
Era un buon galantuomo–(cosa in un oste rara
Ed in tutti i mestieri).
–Stando al mondo s’impara.
E Martino a sessanta–anni aveva imparato
A pigiar bene l’uva,–a trovar sul mercato
Fiducia, e ad adorare–l’unica figliuola.
* * * * *
Nel cinquanta a Mercallo–fu fondata una scuola.
Era il verno.–Il Comune–fe’ venir da Milano
Un maestro; un bel giovane;–avea nome Graziano;
Gli die’ il lauto stipendio–di quattrocento lire
All’anno, e un bugigattolo–dove poter dormire.
Con quattrocento lire–di Milano (vi pare,
O miei buoni lettori?)–nessun la puo’ scialare!
Eppure il giovinotto,–contro ogni economia,
Avea trovato il modo–d’andare all’osteria
Tutte le sere!
E’ vero–che beveva assai poco!
Un bicchiere soltanto!…–Se lo sorbiva al fuoco,
Ma di bicchier quel verno–egli ne bevve tanti,
Che in aprile Graziano–e Lisa erano amanti!
* * * * *
Il padre se ne accorse–e ne fu lieto assai,
Ma ne’ a Lisa ne’ al giovane–volle parlarne mai.
Gli piaceva il maestro.–Il suo piglio cortese
Gli aveva cattivato–gli animi del paese.
Era povero!… E’ vero!…–Ma cos’era Martino?…
Viveva! Questo e’ il compito–di chi nacque meschino…
E il vecchietto diceva:–“Presto l’avro’ adempito!”
Quando la primavera–col suo tiepido dito
Venne a schiuder le imposte,–inchiodate dal verno;
Quando i campi e il creato–col loro canto eterno
Intuonarono l’inno–della vita novella;
Quando Lisa a Graziano–parve farsi piu’ bella;
Quando fu del vin vecchio–vuota l’ultima botte;
Il maestro veniva–dopo la mezzanotte
A passeggiar soletto–intorno all’osteria.
Allora al primo piano–una griglia s’apria.
Era Lisa.
I due giovani–non contavan piu’ l’ore!
Chi di voi l’ha contate–nei colloqui d’amore?
Ma le contava il vecchio–dal suo secondo piano.
“Come ti voglio bene!”–mormorava Graziano
Alla bionda fanciulla.
Ella diceva: “Anch’io!”
Ed egli soggiungeva:–“Domattina, amor mio,
“Voglio farmi coraggio!–Vo’ chiederti in isposa
“A tuo padre!…”
* * * * *
Il vecchietto–ascoltava ogni cosa,
E rideva in cuor suo.–Eran tanto innocenti
Quei colloqui!… Ei pensava–ai begli anni ridenti
In cui per la sua donna–avea fatto altrettanto!
Si sentiva commosso;–avrebbe quasi pianto
Di gioia!…
Ma l’aprile–passo’; giugno passo’;
E l’estate trascorse;–e l’autunno arrivo’;
Ne’ il povero maestro–aveva ancor trovato
Il coraggio di dire:–“Io sono innamorato
“Di vostra figlia” al padre.
–In settembre le notti
Divenner fresche. Il vino–nuovo dentro le botti
Bolliva.
“E’ strana cosa!”–Rifletteva Martino,
“Graziano e Lisa in tutto–somigliano al mio vino!
“Mentre di fuor fa freddo–hanno il cuore che cuoce!”
* * * * *
Una notte pioveva.–Parea quasi una voce
Di lamento, lo squillo–delle poche campane
Che suonavano l’ore–nelle valli lontane.
Il tocco era passato.–Dal suo secondo piano,
Ascoltando il colloquio–di Lisa e di Graziano,
Il vecchietto tremava–pel freddo.
Il giovinotto,
Sfidando l’intemperie,–mormorava di sotto
Alla nota finestra:–“Come ti voglio bene!”
“Anch’io!” Lisa diceva.
–E il maestro: “Conviene
“Ch’io mi faccia coraggio!–Tuo padre domattina
“Sapra’ tutto!… Speriamo!…–E poi, Lisa, indovina
“Che rispose il curato–quando ieri gli ho detto
“D’amarti?”
“Che rispose?”
–“_Ma, Signor benedetto!_
“Esclamo’: _Fatti avanti!–Parla a Martino… Prova!…
“Animo!… Se suo padre–la vostra unione approva,
“Non c’e’ nissuno al mondo–disposto a benedirla
“Piu’ di me!_”
“Giurabacco!–E’ tempo di finirla!”
Spalancando le griglie–tuono’ il vecchio dall’alto.
Il coraggioso giovine–fe’ per spiccare un salto…
E fuggire…
Martino–gli grido’: “Ma, per Diana,
“Fermati, giovinotto!–Cosa son?… La befana?…
“Via!… Piuttosto che espormi–a mille infreddature
“Fate presto, sposatevi,–mie care creature!”
* * * * *
Graziano sposo’ Lisa.
–Era tempo!
Martino
Mori’.
Il maestro allora–lascio’ i libri pel vino.
Divenne ostiere.
Lisa,–dopo quattr’anni, anch’ella
Spiro’, mettendo al mondo–una bambina bella
Come un amore, e cui–lascio’ erede del nome.
II.
Nel mille ed ottocento–settanta, colle chiome
Che parevano d’oro,–allegra e ben tornita
Era la nuova Lisa–la delizia e la vita
Del padre, a cui la testa–s’era fatta canuta.
Egli la contemplava–in un’estasi muta;
Le baciava la fronte;–la chiamava _folletto_;
Le dicea di ripetergli:–“Oh! Mio babbo diletto!”
Ai villani, recando–la solita scodella
Di vino, domandava:–“Non e’ vero che e’ bella?”
Volea che alla domenica–ogni donna, alla messa,
Mormorasse vedendola:–“Guarda com’e’ ben messa!”
Le aveva appreso a leggere.
–Su un libro d’orazioni
Avea di proprio pugno,–con grossi paroloni,
Scritto dei versi (ignoro–di qual poeta); questi:
Le fanciulle son angioli
Che pregan col candore;
Per esse il vecchio padre
E’ il loro primo amore!
* * * * *
Ma pel povero padre–vennero i giorni mesti
* * * * *
Il volto allegro e sano–della bella fanciulla
Si fe’ pallido e magro
“Che hai?” Le chiese.
“Nulla!”
Ella rispose.
Il vecchio–divenne da quel giorno
Pensieroso. Le stava–ogni momento attorno;
Volea leggerle in cuore;–di notte non dormiva.
* * * * *
Una notte, fra l’altre,–(era una notte estiva)
Egli balzo’ dal letto–e s’affaccio’ inquieto
Alla finestra,
Il lume–degli astri, mansueto
Come un guardo materno,–sulla terra piovea:
Il corteggio dei colli,–da lungi, si perdea
Dietro il caro ideale–dell’azzurro dei cieli;
Lo stormir delle fronde–parea fruscio di veli;
Le campagne riarse–dai torridi sollioni
Beveano la rugiada;–le Talli aveano suoni
Indistinti, soavi;–il villaggio dormia
Sul guancial di granito–che e il monte gli fornia.
Ei guardo’ gli astri, i colli,–e l’azzurro orizzonte,
E le piante, ed i campi,–ed il villaggio, e il monte
Che gli sorgea daccanto…–Parea cercar la via
Su cui stornar la mente–da una triste malia…
Ma la cercava invano!–Ei pensava a sua figlia.
* * * * *
Che e’ questo?
Al primo piano–s’e’ dischiusa una griglia,
Giu’, nella via, si muove–un’ombra nera.
Dice
Una voce da basso:–“Lisa, notte felice!
“Come ti voglio bene!”
–L’altra risponde: “Anch’io!”
Allor l’ombra soggiunge:–“Domattina, amor mio,
“Voglio farmi coraggio!–Vo’ chiederti in isposa
“A tuo padre…”
Ad un tratto–cordiale e fragorosa
Scoppia, come una folgore,–una risata in alto.
Gia’ l’ombra coraggiosa–sta per spiccare un salto
E fuggire…
Ma il vecchio–le grida: “Evvia!.,. Perdiana,
“Fermati, giovinetto!–Cosa son? La befana?
“Orsu’!.. Per risparmiarmi–le mille infreddature
“Fate presto! Sposatevi,–mie care creature!”
* * * * *
O lettrice cortese,–non dir che t’ho ingannata!
E’ vero, troppo semplice–novella io t’ho narrata!
La colpa non e’ mia–ma degli umani eventi!…
Una storia monotona–han gli amori innocenti!
Nella gente volgare–(che invidio e che rispetto
Per rispettar me stesso)–si ricopia ogni affetto
Di padre in figlio.
E’ un calcolo–infinitesimale;
E’ l’acqua, che puo’ forse–aver nome _termale_,
O _salsa_, o _benedetta_,–o _tofana_, o _stagnante_,
Ma s’assomiglia sempre–con ben poca variante!
E quest’acqua e’ il racconto.
* * * * *
–“Per farlo men meschino
(Tu mi dirai) “Poeta–ci hai messo anche del vino!
Ahi!… L’acqua guasta tutto!–Persino il vino buono!
La bevanda fu insipida–te ne chieggo perdono…
Vuoi un’altra novella?
–La leggerai fra poco.
Bada!.. Non riscaldarti!..–Ha per titolo: _Fuoco!_
(Ferdinando Fontana)
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