Era sera e pioveva.
–Il tremolante raggio
Delle lampade ad olio,–accese nel villaggio
Dinanzi alle Madonne,–col giallastro bagliore
Sulle pietre specchiavasi–della strada Maggiore;
Sulle pietre, cui l’acqua–rendea lucide e nere,
E alle quali imprecava–un grosso carrettiere,
Perche’ il mulo a ogni passo–scivolava.
La via
Era deserta.
In alto–dicean l’avemmaria
Due fesse campanuccie.
–Di piombo il ciel parea,
E la sottil pioviggine–silenziosa cadea.
* * * * *
Le galline e i piccioni,–nascosti sui fienili,
O accovacciati agli angoli–dei luridi cortili,
Borbottavan sommessi–cercando il posto adatto.
Sulle ceneri calde–s’accoccolava il gatto.
I dindi, che non amano–dormire affratellati,
Sui carri e sulle travi–eransi sparpagliati;
Taluni dai piuoli–d’una scala sbilenca
Dominavan la scena.
–Il bove e la giovenca
Ruminavan sdraiati–nelle tiepide stalle,
Pensando forse all’erba–brucata nella valle
E alla miglior pastura–da sceglier la dimane.
Col muso fra le zampe,–dalla sua cuccia, il cane
Guardava con disprezzo–dell’oche la famiglia,
Mentre un fanciullo lacero–con una fronda in mano
Di spingerla all’asciutto–s’affaticava invano.
L’orizzonte, all’occaso,–colla sua tinta scialba
Facea dir: “_Sol che guarda_–_indietro, pioggia all’alba!_”
E con questo proverbio–le rubizze comari
Chiudevano le imposte–dei rozzi casolari.
* * * * *
Quella sera non c’era–benedizione in chiesa.
La prebenda era povera,–non potea far la spesa
D’accender tanti moccoli–tutti i giorni.
Il curato
Passava coll’ombrello–sull’umido sagrato,
Movendo a lunghi passi–verso la farmacia.
Cola’ la vieta triade–del villaggio venia
A far tutte le sere–la solita partita.
* * * * *
“Buona notte, Teresa!”–“Salute, Margherita!”
“Dormite bene, Checca!”–“State bene, Gervasa!”
Eran le donnicciuole–che rientravano in casa.
* * * * *
I lumi scintillavano–nelle rustiche stanze;
Sui talami nuziali–scendevan le esultanze;
I vecchi accarezzavano–le coltri cogli sguardi;
I bimbi sonnecchiavano.
–Alcuni, piu’ testardi,
Strillavan nella culla–con noiosi lamenti.
La nenia dello gocciole–dalle gronde cadenti,
Come un canto materno,–diceva lor: “Tacete!”
I desiderii inutili–colle vampe segrete
Turbavan le orazioni–delle fanciulle ed esse
Accanto al picciol letto–pensavan, genuflesse,
Dell’amante villano–all’ultima parola,
E trovavano fredde–le candide lenzuola,
E con stolidi accenti–pregavano il Signore
Perche’ la santa fiamma–spegnesse a lor nel cuore!
Sovra le brune case–il silenzio scendea,
E la sottil pioviggine–lentamente cadea.
* * * * *
A un tratto, come il lampo–che le nubi rischiara,
Risuono’ da lontano–un’allegra fanfara.
I fanciulli, che uscirono–sugli alpestri sentieri,
Tornarono di corsa–gridando: “I bersaglieri!
I bersaglieri!!!”
Allora–fu un batter d’impennate,
Un cigolar sui cardini–d’imposte spalancate,
Un vagolar di lumi–sulle negre baltresche,
Un vociar di padrone,–un chiamar di fantesche.
Si gridava: “Correte!…–Son qui!… Sono vicini!”
Le madri abbandonavano–le culle dei bambini;
E, fra l’essere donne–curiose o madri buone,
Prendeano il mezzo termine–d’affacciarsi al verone,
Tenendo sempre a bada–colla coda dell’occhio
Il letticciuolo, dove–miagolava il marmocchio.
* * * * *
La fanfara appressavasi.–Con un piglio insolente
Parean le note acute–sfidar l’ombra silente.
Le fanciulle, lasciando–divozioni e rosari,
Balzavan sulle soglie–dei bruni casolari;
Colle pupille in fiamme,–battendo mano a mano,
Saltellavan di gioia,–e guardavan lontano,
In fondo alla contrada.
–Gli squilli delle trombe,
Come fitta gragnuola–che sui tetti precombe,
Echeggiar nella via,–annunziando al villaggio
Che i bersaglieri entravano.
–Sotto il tenue raggio
D’una lampada santa,–fantastiche visioni,
Sfavillaron nell’ombra–le bocche degli ottoni.
* * * * *
I soldati marciavano–serrati; il suon dei passi
Cadenzato e monotono–rimbombava sui sassi;
I tinniti dell’armi–pareano strappi d’arpe;
Nelle pozze e nel fango–cadean le larghe scarpe
Insudiciando l’uose–strette sulle caviglie;
La pioggia scivolava–sulle negre mocciglie
E imperlava i cocuzzoli–dei cappelli alla scrocca.
I fanciulli, guardandoli,–aprian tanto di bocca;
Le ragazze esclamavano:–“Che bei giovani!”
Ed era
Bujo!!!
* * * * *
Dinanzi a tutti,–accanto alla bandiera,
Marciava un uffiziale–dal torace spazioso,
Dalle spalle quadrate.–Marciava silenzioso,
Colla fronte dimessa;–parea sopra pensieri.
Pensava egli al domani?–Pensava egli all’ieri?
Forse pensava a nulla!
–Con piglio indifferente
Egli passava in mezzo–allo stuol della gente
Ed automa ambulante–si guardava i ginocchi.
Giunto presso a una lampada–l’uffiziale alzo’ gli occhi
E si fermo’.
Due stelle–gli brillavan davanti;
Due stelle nere, lucide,–che parevan diamanti.
Erano due pupille,–cui fea cornice un volto
Di giovinetta, pallido,–nella penombra avvolto.
Il soldato col guardo–esperto ed indovino
S’accorse che quel volto–era un volto divino;
Un volto sedicenne–di bellezza ideale!
Vide due labbra tumide–dal taglio sensuale,
Una fronte purissima,–un mento ovale e fine,
Dalla pelle cosparsa–di linee azzurrine,
E su due guance bianche–cader due brune anella.
Il soldato, baciandola,–disse: “Quanto sei bella!”
* * * * *
La fanciulla fu presa–da uno strano languore
E mormoro’, abbracciandolo:–“Assistimi, o Signore!”
Indi trasse il soldato–sotto un andito oscuro;
Spinse una porticella–che s’apriva nel muro
E fe’ cenno che entrasse.
–Ei la segui’…
La porta
Fu chiusa.
* * * * *
Era una stalla.–
Piovea la luce smorta
Da una piccola lampada–che dall’alto pendea;
Una magra giovenca–gravemente giacea
Su poca paglia; agli angoli–delle rozze pareti
I ragni sciorinavano–le polverose reti;
La soffitta, composta–d’esili travicelli,
Era negra pel fumo;–vanghe, zappe, rastrelli
In un canto appoggiavano–l’aste lunghe e lucenti;
In fondo c’era un mucchio–d’erbe e di fiori olenti
Falciati nella sera.
–La fanciulla s’assise
Su quel mucchio di fiori;–alzo’ gli occhi e sorrise.
Poi disse a voce bassa:–“Qui ci vede nessuno!
“Mio padre dorme… E poi–sara’ un minuto!”
Il bruno
Ufficiale si pose–a sederle dappresso.
Ella guardo’ per poco–lo smagliante riflesso
Dei bottoni dorati–del giovane soldato;
Li toccava, tremando,–col dito fusellato;
Sembrava come assorta–in un sogno; chinava
La testa sovra il petto–e quel petto anelava…
Ad un tratto, cogli occhi–socchiusi, alzo’ la faccia;
Cinse il collo del giovane–con entrambe le braccia
E………..–…………
………..–………….
* * * * *
Giovinette ardenti,–donne all’amor create,
Da una stolida legge–a soffrir condannate,
Non sognaste voi forse–il gaudio d’un istante
Ricordando il profilo–d’un maschio sembiante?
O superbe matrone,–dalle vesti scollate,
Che parlate d’onore–e di virtu’ parlate,
Io sorrido al severo–vostro piglio glaciale
Perche’ so che i viventi–hanno un nemico eguale!
La carne!… Questa schiava–ribelle, non mai doma,
Che freme al sol contatto–d’una leggiadra chioma!
Voi pur siete di carne,–o severe matrone,
E forse in qualche giorno–di suprema oblivione
E d’ardore supremo,–da ogni sguardo lontane,
Voi pure calpestaste–le convenienze umane,
E ai baci d’un ignoto–vi abbandonaste ignude!
Chi narrera’ i misteri–che un cuor di donna chiude?
Chi gli incontri fatali–che il caso ha preparato?
Fu un istante!… Nessuno–lo seppe… Il fortunato
Bacio’, tacque e passo’…
–La matrona severa
Ripiglio’ la sua maschera–nei crocchi della sera;
Ad un detto men cauto–finse sentirsi offesa;
Frequento’, come al solito,–e corsi, e balli e chiesa;
Licenzio’ la domestica–e il fedel servitore
Perche’ nell’anticamera–parlavano d’amore;
E, suscitando intorno–mille fiamme lascive,
Visse, come ogni dama–che si rispetta, vive:
Ipocrita a trent’anni,–bacchettona a cinquanta,
Borbottona a sessanta,–e nel feretro santa!…
Giovinette di fuoco,–donne all’amor create,
Da uno stolto egoismo–a soffrir condannate;
Giovinette di fuoco–e superbe matrone,
Che forse in qualche giorno–di suprema oblivione
E di supremo ardore,–da ogni sguardo lontane,
Calpestaste con gioia–le convenienze umane
E ai baci d’un ignoto–v’abbandonaste ignude,
Voi capirete il senso–che il mio racconto chiude!
* * * * *
Quando il bruno soldato–usci’ sopra la via
Gli passava dinanzi–l’ultima compagnia.
Ei, raddoppiando il passo,–raggiunse la bandiera.
La fanciulla (che tale–da un istante non era),
Sovra il mucchio di fiori–pareva addormentata…
I suoi sogni di languide–vision la fean beata.
Come noi sogniam spesso–negli anni adolescenti
Di leggiadre donzelle–i bei volti ridenti,
Ella sognava un nimbo–di giovinetti gai…
* * * * *
La fanciulla e il soldato–non si vider piu’ mai,
(Ferdinando Fontana)
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