(AD AGGELO SOMMARUGA)
Cagliari e’ fatta di case giallastre,
Come un branco d’agnelle a un monte appese;
E scivolan le scarpe sulle lastre
Delle sue strade ripide e scoscese.
C’e’ una gran baja ed un porto piccino,
Ove l’onda giammai freme adirata,
E par che dica ad ogni brigantino:
“Se tu cerchi la pace, l’hai trovata!”
Cagliari e’ gaja; ha un’aria patriarcale,
E del buon tempo antico ama la legge;
E non pensa a mutar la cattedrale
Lo strano campanil che la protegge.
La turba scarmigliata dei _picciocchi_
Gira dovunque col corbello in testa,
E sguscia dei passanti fra i ginocchi
Piu’ delle anguille irrequieta e lesta.
Quel corbello e’ il suo pane ed e’ il suo tetto,
Ed il _picciocco_ mai non l’abbandona;
Se vuoi dormire egli ne fa il suo letto;
E’ il suo scudo, il suo stral s’egli tenzona.
Quando piove ei lo muta in un ombrello,
Lo cambia in parasol quando e’ l’agosto,
Poi, pien di merci–tornato corbello–
Per due soldi lo reca in ogni posto.
La gente dorme quando il giorno cade;
S’alza coi primi albori e va al mercato;
E le donne sciorinan per le strade
I pannilini freschi di bucato.
I cittadini hanno la faccia rasa;
Vengon dai monti i villosi sembianti;
Le cittadine son massaje in casa
E a San Remy son belle ed eleganti.
Gli innamorati hanno un costume strano,
E l’uso e’ tal che nessuno ci abbada;
La dama sta a un balcon del terzo piano
Ed il damo le parla… dalla strada!
Di sibili infiorato e’ l’idioma,
Dolce all’amore; auster su labbri austeri.
C’e’ qualche bimbo colla bionda chioma…
Caso raro!… perche’ son tutti neri!
Cagliari guarda il mar, mentre al suo fianco
Ha liete valli e colli pittoreschi,
E larghe vie dal suol sassoso e bianco,
Ed irte siepi di _fichi moreschi_.
Grappoli enormi e picciolette viti
Ornan le balze–ridenti festoni!–
E all’arse gole fa graziosi inviti
Lo scialbo color d’ambra dei limoni.
Siam quasi al verno e par di primavera!
E melegrane e cedri ed ananassi
Ti mandan, colla brezza della sera,
Un saluto d’effluvii quando passi.
Cagliari guarda il mare, e, alle sue terga,
Stan campi incolti e vergini foreste,
Dove il cinghiale e dove il cervo alberga,
Dove vette _preziose_ alzan le creste.
Ivi una febbre d’or spinge gli umani,
Ma (ahime’!…) talvolta l’_or_ sfugge agli audaci
E resta sol la _febbre_ all’indomani
Che li dissangua cogli orrendi baci!
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Oggi e’ _sagra_, ed il popolo ha indossato
Il _costume_ gentil del suo paese;
Ne’ piu’ bello un pittor l’avria foggiato
Cui fosse il Genio dei color cortese.
Lungo la baja e’ un ondeggiar festante
Di gonne rosse dai botton lucenti;
E’ una baldoria, un correre incessante
Di cavallucci magri e intelligenti.
E intorno al picciol porto–ove die’ fondo
La carena panciuta dei velieri–
Havvi una folla, un’accozzaglia, un mondo
Di brache bianche e di berretti neri.
(Ferdinando Fontana)
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