O modesto filosofo,
Che giunto a quarant’anni,
Fra l’incessante turbine
Di miserie e d’affanni,
Vivi solingo e povero,
E nel tuo cor securo
_Sotto l’usbergo del sentirti puro_,
Di’ qual e’ dunque il tramite
Che al sepolcro conduce
E cui conforta il raggio
D’inestinguibil luce?
Dimmi, come si vincono
Queste umane tempeste,
Che fan le genti o torve, o tristi, o meste?
Verso la tomba scendere
Io ti contemplo, o amico,
Come l’ombra di Socrate,
Il grande savio antico;
Tu pure d’ogni infamia,
Con bocca altera e muta,
Bevesti in questo mondo la cicuta!
Deh!… Se una pia memoria
E un fervido entusiasmo,
Possono ancora emergere
Dall’umano miasmo,
Lascia ch’io possa volgerti
Quell’arcana parola
Che sa dire chi soffre e che consola.
Sorridi ancora!… Passano
I secoli e le genti,
E le plebi, al barbaglio
Degli empi plaudenti,
Tu non merchi gli applausi,
Ma sul tuo franco viso
Ami serbar l’impavido sorriso,
O modesto filosofo,
Spesse volte affamato,
Io mi faccio una gloria
Di camminarti allato!
O dolce amico, insegnami
A vivere securo
_Sotto l’usbergo del sentirmi puro_!
(Ferdinando Fontana)
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