L’ombra d’Icaro ancor p? caldi seni
del Mar Mediterraneo si spazia.
Segue di nave solco che pi? ferva.
Ogni rapidit? di v?nti agguaglia.
Voce d’uom che comandi ama nel turbine.
Ode clamor di n?ufraghi iterato
e n’ha disdegno, ch? silenzioso
fu quel rimoto suo precipitare.
Io la vidi laggi?, verso l’occaso.
Era nel palischermo io c? miei due
remi. A prora il mio D?spota seduto
era, e guatava fiso la mia cura.
Tra quegli e me subitamente vidi
ignuda l’ombra d’Icaro apparire.
Quasi il color marino aveano assunto
le sue membra, ma gli occhi eran solari.
Sul petto giovenile intraversate
ancor gli stavan le due rosse zone,
gi? per gli ?meri vincoli dell’ale,
simili a inermi b?ltei di porpora.
“O D?spota, costui” disse “? l’antico
fratel mio. Le sue prove amo innovare
io nell’ignoto. Indulgi, o Invitto, a questa
mia d’altezze e d’abissi avidita!”.
(Gabriele D Annunzio)
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