(AD ALBERTO BARBAVARA)
Tu sogni una condotta, un bel villaggio,
Dall’esil campanile, a mezza china.
Che si imporpori al raggio
Del sol, quando declina,
Come la guancia d’una giovinetta
Cui si parli d’amore.
O mesto amico mio, biondo dottore,
Talor lo sogno anch’io
Questo tranquillo oblio;
Talor m’accascio anch’io sul mio dolore
Penso alla noja arcana
Che da ogni cosa emana;
Penso a quelli che furono
E a quelli che verranno;
All’albe ed ai tramonti ed all’affanno
Che domina creato e creature;
Alle molte sventure
Ed ai pochi sorrisi
Concessi a quei che pensano; alla culla
Tanto presso alla tomba;
A questo eterno nulla!
Tu sogni una condotta, un bel villaggio
Dall’esil campanile, a mezza china,
Che si imporpori al raggio
Del sol, quando declina;
Ed io perdo il coraggio
Nella frivola vita cittadina!
E nei ridotti, ove s’affolla un mondo
D’ubbriachi e di cretini,
M’aggiro; e il volto mio cogitabondo
Porta il riflesso d’inconsci destini…
Pur se giunge una nota al mio cervello,
Se vien qualche cencioso menestrello
A strimpellare una canzon gioconda
Al mio attonito orecchio,
Una febbre m’inonda
Di mille desiderii sconfinati;
E penso ai vecchi errori, al mondo vecchio
Che crollera’ sotto il mio giovin pugno;
All’arte nuova; ai versi cesellati,
Coi quali passo qualche lieta notte
Della mia giovinezza;
E ritorno alle lotte,
Ove soltanto il debole si spezza;
Ed odio, ed amo, e scrivo,
E lagrimo talor, ma fremo e vivo!
(Ferdinando Fontana)
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